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L'opinione

  • Pubblicato in Società
di Ildo Serantoni


La tritata subita domenica dall’AlbinoLeffe ricorda, nella sostanza e nelle proporzioni, quella dell’anno scorso contro il Vicenza. Contestualizzata, ci sembra tuttavia più grave. Primo perché giunge in coda ad altri tre risultati negativi, considerata anche la Coppa Italia, e dunque è tutto fuorché un fatto episodico. In secondo luogo perché, complice il calendario, è difficile immaginare che da questo trend si possa uscire in fretta. Contro l’Ancona, l’AlbinoLeffe ha dato l’impressione di non credere a se stesso, aggiungendo un problema mentale a quelli tecnici e tattici apparsi piuttosto vistosi. Scegliere chi ha sbagliato di più fra difesa e centrocampo è come scegliere fra la peste e il colera. Semplificando, si può tranquillamente affermare che in mezzo al campo si è costruito poco e filtrato ancor meno. Ma la difesa ci ha messo del suo a prescindere dalla mancanza di un valido filtro lì davanti. La sistematica, spannometrica applicazione della tattica del fuorigioco è soltanto colpa sua: di chi la guida - Sala - e di chi viene guidato (Bergamelli in primis, ma anche i due terzini laterali). Domenica sembrava davvero di essere su «Scherzi a parte», basti pensare che, nel solo primo tempo, Mastronunzio e Colacone si sono trovati sei volte a tu per tu col povero Branduani. Il quale se li è visti arrivare davanti, galoppanti nella prateria come gli indiani a Forte Apache, in una sorta di riedizione di Ombre Rosse. Inconcepibile per una squadra di serie B. Ma sarebbe inconcepibile anche per l’Excelsior.Il completamento dello scempio, come s’è accennato, l’ha fatto la testa del gruppo, incapace di trasmettere gli stimoli per reagire. La rassegnazione che ne è subentrata è un aspetto che induce a seria preoccupazione. Il compito che attende Madonna è dunque estremamente delicato, perché non si tratta soltanto di lavorare sul campo sotto il profilo tecnico e tattico, ma anche nello spogliatoio per restituire alla squadra l’indispensabile autostima. E questo per un allenatore giovane non sarà semplice come negli anni passati, quando la presenza di antichi guerrieri come Del Prato e Sonzogni, Bonazzi e Poloni, Garlini e Possanzini garantiva autonomamente una grande capacità di reazione. Di quella generazione di mohicani è rimasto poco e, di conseguenza, non si può sperare che lo spirito di battaglia rinasca per germinazione spontanea: bisogna che qualcuno lo riaccenda, e questo qualcuno non può essere che l’allenatore. Buona fortuna, Mindo.

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