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Società

Riflessioni blucelesti

  • Pubblicato in Società

di Marco Gaburro*

Oltre la tattica e la tecnica


Quanto incidono grinta, attaccamento alla maglia, capacità di soffrire in un risultato sportivo? Ed è la stessa cosa se si sta parlando di una prima squadra o di una qualsiasi compagine di Settore Giovanile? Troppo spesso questi aspetti sono tralasciati nelle analisi tecniche, di chi osserva per selezionare o per allenare i calciatori. Ci si barrica dietro ad alchimie tattiche dai nomi più disparati, quali "capacità di mantenere le distanze tra i reparti", oppure "senso tattico in fase difensiva", o ancora "attitudine ad interdire la manovra dell'avversario", quando invece la riuscita di un'azione difensiva dipende da aspetti molto più indviduali e molto meno lontani dalla terminologia e dal pensare comune.

La tattica, che in questo caso andrebbe chiamata strategia, altro non è che la capacità di organizzare i singoli tra loro per poter leggere meglio le varie situazioni di gioco che si propongono di volta in volta. Essa, però, ha bisogno di una base d'appoggio enorme che è data dalle abiliità dei singoli. Singoli intesi come giocatori, grandi o piccoli, capaci o meno, che hanno nomi e cognomi, che provengono da diversi contesti sociali, che hanno caratteri altrettanto diversi. Differenti modi di pensare e leggere le situazioni ed altrettanto differenti modi di reagire agli stimoli.

Ed in questo panorama piramidale, dove i paroloni della tattica di reparto e di squadra si posano su una base molto più ampia di tecnica e destrezza individuale, non è difficile riconoscere come base della base, come fondamenta del sistema, tutti quegli aspetti caratteriali che fanno parte dei singoli soggetti. Di fatto tutte quelle caratteristiche, difficili se non impossibili da definire dall'esterno, che rappresentano l'animo dei soggetti stessi. E' da li che il lavoro di campo deve partire. Dal come i bambini ed i ragazzi vivono il momento di allenamento settimanale, dagli stimoli che hanno quando scendono in campo durante la settimana, dalla capacità che hanno di usare il mezzo allenante come mezzo per filtrare e in parte migliorare le proprie insicurezze, problematiche, difficoltà extracalcistiche. La loro capacità di trasformare i problemi grandi o piccoil che siano in molla, in carica esplosiva, che li porti ad affrontare ogni proposta dell'allenatore come memento da affrontare al mille per mille delle proprie capacità psico-fisiche, è la premessa per poter ottenere il massimo. E da quella premessa deve iniziare un allenamento sistematico e mirato delle qualità di base, individuali, portato all'eccesso in certi casi. D'altronde, che senso ha concentrarsi sui movimenti delle linee difensive, dei reparti, occuparsi della loro integrazione, se poi manca l'abc, se non si sa affrontare con raziocinio e metodo un avversario in uno contro uno per cercare di rubargli la palla.

La partita è un gomitolo di alchimie, di aspetti difficili da cogliere, di futilità. Ma dentro a questo gomitolo si nascondono una miriade di uno contro uno. Cominciamo ad insegnare ai ragazzi come vincerli e poi tutto il resto risulterà, come per incanto più semplice. E per vincerli servono abilità fisiche, tecniche, cognitive... ma serve anche quel qualcosa in più, che si chiami aggressività o fame, grinta o voglia di arrivare prima degli altri, che trovano tessuto sensibile per essere allenate o stimolate in ambiti anche diversi da quello strettamente di campo. Per questo il ruolo dell'allenatore è così difficile. E per questo tante volte non c'è una correlazione stretta tra un lavoro di campo ed un risultato sportivo. La motivazione, a qualunque età, permette al soggetto di trovarsi in uno stato di necessità ideale per apprendere ed è quindi la base di qualunque successo.

(*allenatore Primavera AlbinoLeffe)

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